Durante l’incontro online del 25 settembre, la Dott.ssa Lidia Sarro (SSD Neurologia ricerca e sviluppo clinico – Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano) ha illustrato i più recenti progressi nella ricerca sull’Atassia di Friedreich, con particolare attenzione all’approvazione di Omaveloxolone, il primo farmaco capace di andare oltre la gestione dei sintomi e di agire direttamente sui meccanismi della malattia.
Nel suo intervento, la Dott.ssa Sarro ha ripercorso le tappe fondamentali che hanno portato a questo risultato, frutto di decenni di ricerca, collaborazione internazionale e impegno costante di medici e ricercatori. La scoperta rappresenta una speranza concreta per i pazienti e apre la strada a nuove terapie mirate, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita e rallentare la progressione della patologia.
Di seguito, il testo integrale del suo intervento.
Le origini e la scoperta del gene responsabile
L’Atassia di Friedreich è stata descritta per la prima volta nel 1863 dal medico tedesco Nikolaus Friedreich, che ne identificò i segni clinici essenziali, ma ci fu bisogno di più di 130 anni di studio per arrivare alla scoperta, nel 1996, del gene responsabile: l’espansione anomala della tripletta di nucleotidi GAA all’interno del gene FXN, che porta a una drastica riduzione della produzione della proteina mitocondriale Fratassina.
Negli anni successivi la ricerca si è concentrata sul comprendere la funzione di questa proteina e nello sviluppo di terapie in grado di contrastare il deficit di fratassina e lo stress ossidativo.
Omaveloxolone: aggiornamenti e ricerca
L’approvazione di Omaveloxolone (nel 2023 in USA, 2024 in Europa) quale primo farmaco in grado di andare oltre la semplice gestione sintomatica della atassia di Friedreich ha segnato una pietra miliare nella storia di questa patologia. Questo traguardo non è solo un risultato, ma anche un punto di partenza che apre la strada a nuove terapie, incluse quelle future che potrebbero puntare a ripristinare direttamente i livelli di fratassina.
L’approvazione dell’Omaveloxolone è stata possibile grazie allo sforzo congiunto dei ricercatori per lo sviluppo di modelli preclinici in vitro e di modelli animali, essenziali per l’identificazione dei meccanismi di malattia e dei bersagli terapeutici. Parallelamente, studi sulla storia naturale come EFACTS e FACOMS hanno fornito dati indispensabili sulla progressione e la variabilità clinica dell’atassia di Friedreich, stabilendo gli endpoint necessari per valutare l’efficacia dei trattamenti.

La proteina Fratassina si è rivelata essenziale al buon funzionamento dei mitocondri, organelli cellulari fondamentali per la produzione di energia nelle cellule e per la difesa della cellula dallo stress ossidativo. Il fattore nucleare eritroide 2 correlato al fattore 2 (Nrf2) è stato identificato come elemento chiave nella difesa della cellula, divenendo un promettente bersaglio per molecole in grado di potenziarne la attivazione al fine di promuovere la sopravvivenza cellulare in malattie quali l’atassia di Friedreich. Omaveloxolone attiva Nrf2, agendo principalmente come antiossidante, e nel 2015 la casa farmaceutica Reata ha iniziato il primo studio su pazienti con malattia di Friedreich per valutare la sicurezza e il corretto dosaggio di questo farmaco.
In una prima fase sono stati arruolati più di 60 pazienti deambulanti, dai 16 ai 40 anni. Lo studio della durata di 12 settimane è stato condotto in “doppio cieco” (né i pazienti né i medici sapevano chi assumesse il farmaco e chi il placebo).
Stabilito il dosaggio ottimale e sulla base di risultati incoraggianti, nel 2018 è iniziato un secondo studio in doppio cieco su 103 pazienti in diversi centri clinici negli Stati Uniti, in Australia e in Europa (compresa la Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano). Il secondo studio è durato 48 settimane con un dosaggio di Omaveloxolone uguale per tutti i pazienti (150 mg al giorno). Il parametro clinico più importante utilizzato per misurare l’effetto del farmaco è stato il punteggio della scala specifica per la malattia di Friedreich denominata “Modified Friedreich Ataxia Rating Scale – mFARS”, che con test motori quantifica il disturbo atassico (0 =nessun sintomo; 93 = massima severità).
Dopo un anno di trattamento, i pazienti trattati con placebo hanno avuto un peggioramento alla scala mFARS (quindi un aumento del punteggio totale di gravità) di 0.85 punti, mentre il gruppo di pazienti trattati con Omaveloxolone hanno avuto un miglioramento (quindi una riduzione del punteggio) di 1.6 punti. Nel corso dello studio non sono emersi effetti collaterali gravi. Il 37% dei pazienti ha presentato un aumento delle transaminasi epatiche, altri effetti collaterali con frequenza pari o inferiore sono stati cefalea, nausea e diarrea.
A seguire è stato condotto uno studio di estensione in aperto su 149 pazienti che avevano partecipato agli studi precedenti. I risultati hanno mostrato che la differenza nei punteggi mFARS, che misura la progressione della malattia, è stata mantenuta tra i due gruppi anche dopo 24 settimane di trattamento. Questo suggerisce che Omaveloxolone potrebbe avere un effetto modificatore della malattia (rallentandone la progressione), piuttosto che un semplice effetto sintomatico.

Sulla base di questi dati nel febbraio 2023 l’ente americano “Food and Drug Administration – FDA” ha approvato l’immissione del farmaco (nome commerciale “Skyclarys”) in commercio negli Stati Uniti, rendendolo prescrivibile per i pazienti con malattia di Friedreich con più di 16 anni. Reata Pharmaceutics ha dunque sottomesso il dossier del farmaco anche all’ente regolatore europeo “European Medicines Agency – EMA” che lo ha approvato nel febbraio 2024.
Nel 2023 la casa farmaceutica BIOGEN ha acquistato il farmaco Skyclarys da Reata. A seguire, a luglio 2024 l’ente regolatore italiano “Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA” ha inserito Skyclarys nell’elenco di farmaci distribuito ai sensi della legge 23 dicembre 1996, n. 648 approvato per il trattamento dell’atassia di Friedreich (geneticamente determinata) negli adulti e negli adolescenti di età pari o superiore a 16 anni, con punteggio mFARS<80 al dosaggio di 150mg al giorno.
Le controindicazioni definite da AIFA all’assunzione del farmaco sono la compromissione epatica severa, compromissione renale con eGFR<30 ml/min e scompenso cardiaco severo (classe NYHA>III).
Esperienze cliniche e prospettive future

L’esperienza clinica a distanza di un anno dall’immissione in commercio è stata oggetto di pubblicazione scientifica da parte del team del prof. Lynch nel 2025. Da questo studio è emerso che il 23,8% dei pazienti ha manifestato effetti collaterali, i più comuni sono stati disturbi gastrointestinali, mal di testa ed affaticamento.
Per quanto concerne la funzionalità epatica, Il 56,6% dei pazienti ha presentato almeno un aumento delle transaminasi epatiche, soprattutto nei primi 3 mesi di terapia. Tali aumenti degli enzimi epatici sono risultati lievi e si sono risolti con la sospensione temporanea o la riduzione della dose di Omaveloxolone. Sono stati osservati anche incrementi dei valori di colesterolo LDL ed in minor misura del proBNP. Per tale motivo è richiesto un monitoraggio ematochimico durante il trattamento, specie nei primi mesi di terapia.
In conclusione l’esperienza clinica conferma che Omaveloxolone è generalmente ben tollerato, con effetti collaterali modesti e gestibili che non si discostano da quelli osservati negli studi. Questo ha permesso alla maggior parte dei pazienti di mantenere la continuità della terapia.
Le prospettive future per questo farmaco sono legate al fatto che l’esperienza clinica è ancora limitata ed in crescita. Per questo motivo, sono necessarie ulteriori ricerche che si concentrino su diversi aspetti cruciali. In primo luogo, sarà fondamentale confermare l’effettivo effetto modificatore della malattia. Inoltre, gli studi dovranno approfondire se i modesti miglioramenti a breve termine osservati nei punteggi mFARS si traducano effettivamente in benefici significativi per la funzione quotidiana e per la qualità della vita complessiva dei pazienti.
Infine, un altro ambito di ricerca indispensabile è la valutazione dell’efficacia e della sicurezza del farmaco nei pazienti più giovani, in particolare quelli di età inferiore ai 16 anni.
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